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INTERVISTA IL SUONO DI MILLE SILENZI

Cosa significa per lei essere scrittrice?
In realtà non saprei, in quanto non mi reputo una scrittrice, ma una persona che ha raccontato in due libri la propria vita, come meglio poteva.

Cos'è per lei un romanzo?
Ho sempre letto con sospetto i romanzi. Sembrano animati di vita reale e si finisce a credere alla storia narrata, anche se sappiamo che spesso è soltanto finzione. Qualche volta assisto a trasmissioni televisive in cui vengono chieste ad uno scrittore opinioni su cose reali. Penso: “ma che ne sa costui, se tutto quello che ha scritto è frutto della sua fantasia?”
 
Quando ha sentito di esser stata morsa per la prima volta dal talento per la scrittura?
Mi piace moltissimo scrivere. Sin da bambina raccontavo tutto al mio diario. Talento per la scrittura? Ho un talento per la scrittura? Grazie per il complimento.

Che percorso ha seguito per arrivare fino a qui?
Il mio percorso si chiama testardaggine. Quante volte ci sono rimasta male per un rifiuto! Ma sempre ho insistito senza farmi scoraggiare dalle difficoltà.

Fissa o precaria (come stato mentale, non solo come dato di fatto)?
Precaria, certamente. La mia vita deve ancora subire le evoluzioni da me sognate.

3 aggettivi per definire L'Italia e gli italiani
L’Italia: bella, divisa, povera (pur essendo piena di ricchi).
Gli italiani: troppo furbi, opportunisti, adulatori dei potenti (non tutti per fortuna).

Cosa manca secondo lei al nostro paese per essere migliore?
Che tutti abbiano rispetto nei riguardi del prossimo.

Cosa significa avere un figlio nel 2010?
Una scommessa per il futuro.

Il suo rapporto con la politica
La politica è importante per tutti noi, purtroppo la fanno i politici.

Tg, quotidiano o informazione su internet
Quotidiano.

Legalizzazione delle droghe leggere o no
No.

Un difetto delle donne di oggi
Invidia, oggi più di ieri.

Un progetto per il futuro
Scrivere un altro libro.

Un sogno
Un lavoro che mi realizzi.

Una città in cui vivere e lavorare
Quella in cui vivo.

Un consiglio a chi vuole seguire le sue orme
Non rinunciare mai alle proprie idee.

Chi sente di dover maggiormente ringraziare per la persona e la scrittrice che è diventata?
Me stessa.

Emma in 3 pregi e in 3 difetti
Dolcezza, altruismo, intraprendenza.
Testardaggine, incapacità di difendermi, puntigliosità.


E ora passiamo a parlare del suo romanzo:
“Il suono di mille silenzi” e “Mille volte niente” racchiudono la drammatica storia della sua vita, una vita che le ha riservato quasi esclusivamente sofferenze incredibili, violenza inaudita e davvero troppo poco amore e comprensione da parte degli altri. 

Cosa l’ha spinta a rendere pubblica la sua vicenda personale attraverso le pagine di un romanzo? E quali sentimenti ha provato mentre metteva nero su bianco, e quindi ripercorreva passo dopo passo, momenti tanto tragici?
Ho sentito dentro di me, sin da bambina, il bisogno di far conoscere agli altri, allora non sapevo a chi, i soprusi a cui ero soggetta. Come ho descritto né “Il suono di mille silenzi”, da piccola mi strappavo il vestito sulle spalle e giravo nel cortile per mostrare i segni delle percosse sulla schiena. Dimostrazione del tutto inutile nell’ambiente in cui vivevo. Crescendo, mi sono resa conto che esisteva un mezzo straordinario per soddisfare questo mio bisogno: la scrittura. Ho atteso lunghi anni prima di accingermi alla stesura della mia biografia. Altri motivi mi hanno spinta a rompere gli indugi, l’incontro con mie compagne di collegio ridotte a larve umane, e la constatazione del profondo silenzio, colpevole, che ha sempre avvolto la vita dei bambini dell’istituto. Ed ancor più la consapevolezza che i danni ricevuti all’età infantile non sarebbero finiti alla maggiore età, ma sarebbero proseguite ancora e ancora, con un perverso avvicendarsi di cause ed effetti, praticamente per tutta la vita. Ho scritto per spezzare il silenzio, ho scritto per me, per i miei figli e per le mie sventurate compagne. Ho iniziato con leggerezza, credendo che raccontare fosse facile, come un compito scolastico, ma non è stato cosi. Sono rientrata, prima lentamente e poi con più forza, direi brutalmente, nella mia vita passata. Ricordi sopiti risvegliavano in me dolori nascosti. Man mano che la mia vita si dipanava sulla linea della scrittura, un filo lunghissimo intessuto a mano (all’inizio non ho usato il computer), piombavo sempre più nell’angoscia e nella sofferenza. L’esercizio della memoria è doloroso, lo è il rivivere ogni giorno dentro di sé i fatti della propria vita per consegnarli al futuro. La scrittura richiede uno sforzo ulteriore della memoria, pretende l’esplorazione delle zone d’ombra, necessita di dettagli, di luoghi, di date. Elementi che si credevano ormai perduti e che invece, grazie a questo esercizio riaffiorano e riprendono consistenza. La carta su cui scrivevo spesso si inzuppava di lacrime. Due anni per scrivere i miei due libri, due anni di partecipazione e di sofferenze. Dicono che ripercorrere le proprie sventure raccontando o scrivendo sia catartico e salvifico. A me purtroppo, non ha fatto questo effetto.

La maggior parte delle persone che lei ha conosciuto, se non le hanno inferto maltrattamenti fisici, lo hanno fatto a livello psicologico. E’ mai riuscita a spiegarsi il motivo di tanta indifferenza e crudeltà nei suoi confronti?
No, ho però ipotizzato alcune ipotesi. Per quanto riguarda le suore, penso che si tratti in parte di femminilità frustrata e in parte di un’impalcatura culturale degli istituti religiosi. Ricordo lo sguardo freddo e distaccato che faceva capire a noi bambine che eravamo i figli degli “altri”, e poi, da adolescente, era chiara l’invidia e la gelosia delle suore nei confronti delle giovane ragazze in fiore, la cui vita rendeva raggianti anche in quelle condizioni. L’ipotesi culturale, mi è venuta solo da qualche anno, quando nell’archivio storico di Catania mi è stato mostrato un documento sulla nascita degli istituti religiosi per bambini abbandonati a Catania. Era istituzionale trattarli con “esemplare durezza” perché considerati come affetti dal peccato d’origine, al fine di estirparne eventuali tendenze pericolose per la società. Per quanto riguarda gli altri personaggi negativi che ho incontrato nella mia vita, penso che si tratti soltanto di “piccoli” uomini e donne che hanno creduto bene di approfittarsi della debolezza altrui. Un discorso a parte meritano le cosiddette assistenti sociali. Quelle che ho conosciuto, erano quasi tutte inadatte al loro lavoro, difficile, impegnativo e che richiede dedizione e sensibilità.

E cosa prova, ora, verso questa gente?
Rabbia, soltanto rabbia. Si tratta comunque di un sentimento generalizzato. Non sarebbe per me atto liberatorio la punizione di queste persone, anche se doveroso atto di giustizia. Sarebbe invece per me oltremodo confortevole sapere che la legge si sta adoperando affinché non succedano più gli episodi simili a quelli che ho raccontato.

E’ anche vero che nelle rare occasioni in cui le è stata tesa una mano o una via di fuga, lei si è tirata indietro, rifiutando di sfruttare possibilità che sicuramente le avrebbero evitato tante, inutili sofferenze. Perché, all’ultimo e in piena consapevolezza, non ha mai accettato quegli aiuti che lei stessa aveva disperatamente cercato?
In realtà l’occasione è stata una sola: l’aiuto dell’associazione “centro aiuto alla vita”. Perché mi sono tirata indietro all’ultimo momento? Sicuramente se non avessi rivisto l’uomo, durante il processo, non avrei fatto questo gesto. Quell’uomo aveva preso possesso del mio corpo e della mia anima. So di certo, per questa mia esperienza, che un uomo può prendere possesso dell’anima di una donna in due modi: con l’amore o con il terrore. Ed io ero totalmente terrorizzata, tanto da avviarmi verso di lui come una falena si avvicina alla luce di una lampada, dove troverà sicuramente la morte.

Vorrei toccare un argomento che sono certa le stia molto a cuore. Ci può spiegare il valore che ha per lei la famiglia e quanto l’importanza di darne una vera ai suoi figli - a lei negata fin dalla nascita - abbia pesato su ogni sua scelta?
Ogni scelta, ogni rinuncia, ogni episodio, ogni azione nella mia vita è stata rivolta a cercare di creare una vera famiglia per i miei figli, anche se non ne avevo mai avuto un esempio. Una costruzione lenta e difficile, durata negli anni, troppi anni. Adesso che i miei figli sono grandi non posso affermare di esserci pienamente riuscita. Sicuramente ho commesso degli errori e sicuramente in buona fede. I danni però causati ai miei figli da circostanze difficili, e la scelta di un marito sbagliato, non hanno permesso la realizzazione di quella famiglia che avevo sempre desiderato. I miei figli hanno con me un atteggiamento di perenne rimprovero, dovuto a fatti del passato che li hanno fatti soffrire, attribuendo a me la responsabilità di non averli saputi proteggere abbastanza. Dopo tante battaglie e sofferenze i problemi sono ancora tanti. Ho ancora molto da fare per raggiungere il sogno che mi ero prefissata. Posso però orgogliosamente affermare che i miei figli, anche nelle circostanze più drammatiche, hanno avuto sempre vicino a loro una mamma amorosa e disponibile. Anche quando sembrava che non li sapessi difendere, mentre il mio cuore sanguinava, la mia mente sceglieva la via che credevo per loro più vantaggiosa.

In tutta Italia, anche nelle zone più disagiate, molti problemi legati all’universo femminile sono stati, se non risolti, almeno alleggeriti. Rispetto a quella del passato, che lei ha conosciuto sulla sua pelle, com’è cambiata la situazione sociale all’interno della realtà in cui vive tuttora?
Non so dire se i problemi legati all’universo femminile siano stati alleggeriti. La mia storia è stata troppo diversa da quella delle altre donne per rendermi conto dell’esistenza di un “problema femminile”. Ho vissuto gli anni della fanciullezza e della giovinezza in un ambiente totalmente alieno a quello degli altri per potere rendermi conto delle problematiche esistenti nell’altro pianeta. Non ho percepito sulla mia pelle una realtà negativa in quanto donna, ma in quanto bambina abbandonata. Anche i bambini di sesso maschile maltrattati in istituto hanno infatti avuto problemi per tutta la vita.

In ogni caso le donne, nonostante una maggiore informazione, più organi di tutela e una costante lotta all’ignoranza, continuano a subire diverse forme di violenza e spesso quelle che avvengono tra le mura domestiche sono anche le più difficile da combattere perché non denunciate. In base a ciò che ha imparato dalla sua esperienza personale cosa si sente di consigliare alle vittime di questi soprusi? Qual è il primo passo da compiere per cercare di salvarsi?
Posso soltanto consigliare ciò che mi disse il buon avvocato, D’Agata Rosario. Andare sempre al pronto soccorso dopo le percosse, denunciare sempre. Purtroppo la giustizia segue un suo corso spesso incomprensibile e inefficiente, i cui tempi si allungano a dismisura, rendendo vana ogni azione di giustizia. E’ comunque di fondamentale importanza non arrendersi mai. Aprirsi con tutte le forze al mondo che ti circonda, cercando di non rimanere isolata, di far conoscere a tutti a qualunque costo, la realtà in cui si vive. Bisogna trovare la forza e il coraggio di allontanare dalla tua vita chi calpesta la tua persona e i tuoi sentimenti. Coltivare la speranza che da qualche parte esiste qualcuno che può aiutarti. Ciò renderà più forte. La società deve proteggere soprattutto i più deboli e i più indifesi, difendere il diritto di ogni essere umano di vivere un’esistenza dignitosa.

Quali sono oggi i suoi sogni e come immagina il suo futuro?
I miei sogni? Un lavoro che possa soddisfarmi e che comunque non affatichi fisicamente il mio corpo già segnato da pesanti disavventure. Vorrei che i miei figli, specialmente i primi due, capissero le difficoltà immense che ho dovuto affrontare per tenerli con me. Mi piacerebbe che regnasse l’armonia fra di loro e nei miei riguardi. Avere più tempo per studiare la musica e dedicarmi al mio strumento preferito: la chitarra. E finalmente chiudere con il passato che ancora oggi fa sentire i suoi deleteri effetti. Non riesco ad immaginare il mio futuro, anche se penso di avere diritto ad una piccola porzione di felicità.

 

 

 

 

 

 

                

EMMA LA SPINA: VOGLIO CHE LA GENTE SAPPIA…VOGLIO GIUSTIZIA

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ELISA GUCCIONE — 16 LUGLIO 2015

 

 

 La scrittrice Emma La Spina

 

Emma La Spina, dopo quattro anni dal suo ultimo libro, torna in edicola con “Come fossi una bambola”,  piemme edizioni. Protagoniste quattro compagne di vita e sventura dell’autrice che come lei hanno vissuto l’infanzia in un orfanotrofio.

L’intervista a Emma La Spina

Come nasce questa nuova idea letteraria?

 

La scrittrice Emma La Spina. Foto Daniele Trovato

“In realtà due le ho “seguite” nel corso delle loro vicende, mentre le altre le ho incontrate anni fa, dopo la pubblicazione dei miei primi due libri. Tutte e quattro, in modo diverso, hanno espresso il desiderio di essere presenti in un mio racconto. Due di loro, purtroppo, a causa della loro tragica fine, non potranno riconoscersi. Avevo idea di scrivere un libro sulle mie compagne, in modo da rendere palese la situazione di sofferenza “oltre le mura dell’istituto”, per cui mi è venuto facile esaudire le loro richieste”.

Dopo i primi due libri autobiografici diventa la portavoce del dolore di altre donne. È stato difficile convincere le protagoniste a parlare del proprio passato?

“Dopo le prime titubanze le mie amiche, pian piano, hanno superato i loro disagi e complessi. Sapevo che tutto quello che dicevano era incompleto. Mi accorgevo dal tono della voce, dalle loro reticenze, che il pudore spesso fuorviava le parole o le bloccava. Ho avuto bisogno, per tirar fuori le realtà più scabrose, di tatto e buonsenso. Raccontare, pian piano, per loro e per me era diventata una medicina necessaria”.

Quanto è stato difficile ripercorrere quegli anni?

“I momenti della mia giovinezza, con molto dolore, li ho rivissuti durante la stesura dei miei primi due libri ma nuovi ricordi, nuovi episodi sigillati nella mia mente e nel mio cuore, che non ho narrato, sono sopraggiunti vividi e dolorosi. L’obbligo, per esempio, da bambine in collegio, di ingoiare le nostri feci come particolare punizione, era stato rimosso dalla mia mente ma con il racconto di una delle mie compagne è ritornato più vivo che mai”

“Chi non è amata, non esiste” è una frase forte del libro che riassume la sofferenza affrontata. Le sue amiche oggi ce l’hanno fatta, esistono?

“No, non esistono! Due disgraziatamente non ci sono più, le altre due si sono smarrite”.

 

La copertina del libro di Emma La Spina

Si può andare avanti anche quando tutto sembra finire?

“Il mio libro, pur essendo un atto d’amore, non dà speranze. Non c’è per queste persone un futuro migliore. Non si può andare avanti in queste condizioni. Si è vivi e basta. Qualche volta incontro altre mie compagne, ricordo che eravamo in orfanotrofio più di mille, le quali sembrano ancora legate ai tempi terribili della fanciullezza. Ripetono e rivedono con ossessione momenti, fatti e situazioni di quel periodo, come malati di mente. Chi le osserva, si rende conto della loro difficoltà di esistere. Una di loro, ad esempio, quando casualmente la rivedo mi afferra le braccia, mi tocca le mani, mi accarezza il viso, perchè sente il bisogno patologico di attenzioni. Vedermi allontanare, per lei è una vera tortura”

Cosa si aspetta da questo nuovo libro?

“Voglio che la gente sappia, che tutti conoscano questa storia. Voglio giustizia, mi aspetto che le istituzioni funzionino meglio e che i servizi sociali si rendano conto della patologia prima della cancrena. Mi aspetto in definitiva, forse, un’utopia”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come fossi una bambola

Di Emma La Spina In Cultura / 6 luglio 2015

 

 

Anteprima

Divido il mio tempo tra lavoro e impegni nei riguardi di persone che hanno bisogno di me. Una parte importante è dedicata alla scrittura e alla lettura. Mi piace suonare la chitarra e ascoltare musica quando è possibile e in momenti particolari. Ultimamente ho scoperto la musica dei Beach House, un gruppo dream pop americano. Il mio lavoro di collaboratrice scolastica va ben oltre la semplice espletazione di compiti e doveri. Occupandomi dei ragazzi, travalico ogni giorno gli standard scolastici. Se noto un disagio o problemi in un alunno cerco di capirne il motivo e, se possibile, intervengo aiutandolo, mettendomi a sua disposizione. E ciò quasi sempre al di fuori dell’orario di lavoro. Mi ero accorta, per esempio, che due sorelle gemelle cinesi avevano difficoltà a scuola e rischiavano di perdere l’anno. Sono entrata nel loro mondo, difficile e, a tratti, per noi incomprensibile, e ho avuto modo di comprendere meglio i problemi che deve affrontare la comunità cinese a Catania. È stata una grande gioia riuscire a mediare tra il nostro e il loro mondo. C’è poi il tempo dedicato ai miei nipotini, dato che sono felice nonna di tre bambini, due dei quali, purtroppo vivono in Inghilterra, ma la terza vive a Catania ed è fonte di immensa gioia. Per evadere strimpello con la chitarra e compongo canzoni che, per pudore, tengo soltanto per me. La chitarra ha origini lontane, nella mia infanzia, quando suonarla aveva un significato di rivalsa. Fin quando un’arcigna persona, innominabile, me l’ha fatta distruggere. La chitarra, il ricordo di un giovane biondo, infelice, morto a vent’anni tragicamente, il fratello mio del cuore mai conosciuto. È la somma di tutto ciò e di altro ancora che mi dà fortissime emozioni, mi libera la mente e mi regala attimi di felicità. È strano, ma le musiche e le parole che si cantavano in chiesa, che prima odiavo, perché imposte, adesso le amo. Le amo per l’altezza del suono e la profondità delle parole. Odo ancora la voce alta e chiara della mia bella e sfortunata sorella, benedetta da Dio nella voce e nell’abilità del suono. Sento ancora le note da uccello del paradiso volare alte per le sacre volte della chiesa. Benedetta da Dio, mia sorella, per queste qualità, e poi da Lui abbandonata, o forse, da Lui voluta al suo fianco? Mistero! La lettura per me è divenuta, adesso, una necessità. I miei libri sono particolari, si può dire: “a tema unico”, per cui penso di essere una scrittrice atipica. I miei libri costituiscono uno squarcio nei muri dei bui istituti carichi di angoscia, uno strappo violento alle coscienze, per troppo tempo all’oscuro dei drammi di persone indifese e perseguitate. Dopo la divulgazione dei miei due libri ho assistito a un’incredula presa di posizione da parte di tante persone. Quante volte ho sentito le parole: “Non sapevo, non credevo”. Soltanto qualcuno si è caparbiamente messo in difesa con le parole: “Non posso crederci”, o forse, avrebbe dovuto dire: “Non voglio crederci”. Il successo dei miei libri costituisce per me un particolare riconoscimento, non dico dal punto di vista letterario, semplicemente come persona: finalmente esisto, ho una mia identità. Quante mie compagne sono scomparse nel nulla, come se non fossero mai esistite. Io posso dire orgogliosamente: “Esisto, sono parte della società”. Giustizia, mi aspetto. Giustizia che non è mai arrivata. La giustizia, quella vera, la stabilisce soltanto l’Eterno, quaggiù è merce di scambio, vendibile al migliore offerente, preda di avvocati senza scrupoli, che proteggendo individui danarosi, infliggono alle vittime pene ancora maggiori. Questi avvocati, abili azzeccagarbugli, confondono i fatti e fanno trionfare l’ingiustizia. La mia passione per lo scrivere è nata da una fortissima esigenza: rompere il silenzio, far conoscere a tutti un mondo sommerso, il mio mondo. Sola, senza un’anima a cui confidare le mie angosce e le mie sofferenze. Il mio primo libro l’ho rivolto a Dio, come una ripicca. Le suore dicevano: “Siamo nati per soffrire”, e io ci credevo. Poi, il libro chiese disperatamente a Lui: “Perché”, senza ottenere risposta. Dopo l’inaspettata e fortemente voluta pubblicazione, ecco che il mio sogno di apertura, di divulgazione, diveniva realtà. Tanti ora sanno, dopo assordanti silenzi, cosa è successo ai mille e poi mille, e poi mille bambini degli orfanotrofi. Preciso che non ho scritto come “fatto liberatorio”, come sfogo, perché mai riuscirò, riusciremo, io e le mie compagne a esorcizzare le sofferenze della nostra vita. Non sono d’accordo con gli psicologi che sostengono che la scrittura, questa scrittura, sia terapeutica. Non lo è per nulla, è soltanto un rinverdire le sofferenze. Ho scritto come denuncia e riscatto. Oggi non è possibile dare un significato univoco allo scrivere. Gli editori, al giorno di oggi, pubblicano i libri come beni di consumo. Ne stampano un certo numero di copie, cercano di venderle tutte e poi mettono l’opera fuori produzione. Ci sono poi le opere d’arte, la vera e propria letteratura. Sono casi rari che vengono scoperti con difficoltà. C’è poi chi scrive per un bisogno intimo di divulgazione o di riscatto, come nel mio caso. La mia personale interpretazione della scrittura è quella di aprire alla società mondi sconosciuti, mondi di sofferenze, a noi vicini nello spazio, ma lontani nel cuore. Come fossi una bambola, narra della vita di quattro donne unite dalla sorte per aver vissuto l’infanzia nello stesso istituto per bambini abbandonati. Costrette da piccole all’istituto come per scontare una pena non loro, le bambine, per una strana alchimia, si sono avvicinate pur avendo caratteri totalmente diversi. Il libro parla del loro divenire adolescenti, del fiorire della loro gioventù tra mura impenetrabili, e poi, la strana libertà dei giorni di scuola in cui il ferreo controllo veniva facilmente eluso permettendo ad uomini senza scrupoli di approfittare delle ingenue fanciulle con qualche spicciolo e regalini di poco conto. Ognuna delle ragazze subisce il trauma dell’abbandono, della “cacciata” dalla casa che le aveva custodite con truce cipiglio, a diciotto anni e un giorno. Ed ecco che le loro vite divergono, pur rimanendo unico il loro destino. Perché questo libro dopo i primi due che sono la mia autobiografia? Ho voluto dimostrare tramite il racconto, vero, della vita di queste mie quattro compagne di istituto, che le sofferenze, le devianze dell’orfanotrofio hanno conseguenze nel tempo, ben al di la dell’infanzia. Chi è vissuto in un istituto per bambini abbandonati, riceve impresso nel suo spirito un marchio indelebile, che lo porterà sicuramente a una esistenza e a una fine infelici. I meno forti divengono veri e propri mostri (il Melo del libro), gli altri saranno preda di turbe psichiche più o meno manifeste.

 

 

 Alla sinossi, segue (in corsivo) un passo dal libro, Come fossi una bambola, Piemme, collanaSaggistica, serie Voci.

Sarebbe bello fosse una storia d’altri tempi, quella di Giovanna, Simona, Tiziana e Barbara. Invece è drammaticamente recente. Tutte e quattro hanno vissuto l’infanzia in un istituto religioso per bambine abbandonate. Tutte uguali, come sfornate con lo stampino, i vestitini bianchi e i capelli a caschetto, tagliati con la scodella. Uno stampino che gli hanno imposto a forza. Con in fondo al cuore il bisogno disperato di una mamma e la dura realtà quotidiana da affrontare, fatta di solitudine, durezza e privazione. Scontano la pena di essere figlie di una qualche colpa, con l’oscura consapevolezza che un posto sicuro per loro forse non ci sarà mai. Tiziana aveva una bambola senza un braccio che le dava sicurezza mentre assisteva al via vai di uomini in casa, «stai buona che mamma lavora». Poi un giorno le hanno tolto entrambe, mamma e bambola, senza darle niente in cambio, solo gelo. Meglio non averla mai conosciuta o non ricordarsela più, la mamma. Come Giovanna, Simona e Barbara, gettate via da donne che il parto non ha reso madri. I loro sogni non dovranno mai fare i conti con la realtà. Bambine, ragazze e poi donne, insieme fin da quando hanno memoria, senza mai essere davvero amiche perché nella giungla c’è spazio solo per la lotta alla sopravvivenza. Intrecceranno i loro destini, diversi ma in fondo uguali: amori facili, violenti e umilianti, il corpo e il cuore sempre in svendita. Perché è facile diventare e restare vittime alla mercé di chiunque quando non si è state amate.

*

La sera, quando Melo c’è, la usa per soddisfare i suoi istinti, come fosse una bambola. Non gli interessa se non si lava ed è sporca. La spoglia, la prende senza tanti riguardi e si addormenta soddisfatto.
Giovanna rimane lì nuda nel letto a fissare il soffitto, finché il freddo non prende il sopravvento. Allora si tira addosso la coperta sudicia e sprofonda in qualcosa di simile al sonno.

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